Continuità e interruzione
di Andrea Ligozzi

Dopo aver frequentato un corso di mindfulness, nel primo periodo si tende a portare avanti la pratica, ma poi a molti capita di fare sempre meno, mancando il sostegno del gruppo. Il pensiero di sederci ad osservare il respiro, le sensazioni del corpo o altro ci dà un senso di noia e fatica. Spesso succede in queste circostanze che la pratica venga sempre più accantonata. E sorge l’idea che abbiamo perso qualcosa che recupereremo più in là, quando ne avremo le energie “giuste”. Non c’è da preoccuparsi, è normale che ciò avvenga, ma non è necessariamente vero quello che la mente ci suggerisce in merito.
Abbiamo perduto la quiete?
Si perché è la nostra mente a dirci che abbiamo perduto la quiete raggiunta con la pratica. Che ora non siamo i meditatori che vorremmo essere. Così come verso il più ambito dei desideri, allo stesso modo la mente ci dà la sensazione di essere molto distanti dallo stato di “efficacia” mano a mano che il tempo passa. Sempre più ci sembra di aver perso l’attitudine alla pratica con il conseguente senso di fatica del dover ricominciare e recuperare qualcosa di perduto. E se così non fosse? Se non ci fosse poi nulla da recuperare?
Se abbiamo interrotto la pratica da qualche giorno, da qualche settimana o persino da mesi, proviamo a sedere per 5 minuti e diciamo a noi stessi che non c’è nulla da dover cercare, né da recuperare. Stiamo in questo momento così com’è, con tutta l’incertezza che ci portiamo, assaporiamo questa incertezza, cerchiamola nel nostro corpo e tra le pieghe dei nostri pensieri.
Prendiamoci uno spazio per stare….
Prendiamoci uno spazio semplicemente per Stare. Stiamo con noi stessi, con quello che avviene in noi, cerchiamo semplicemente di mettere a fuoco il nostro temperamento in questo momento, “come sto?”, “cosa ho voglia di fare?”, “da cosa sono attirato e cosa sto respingendo?”. Ascoltiamo se c’è qualcosa che il nostro corpo ha da dirci, una tensione, una rigidità o altro. Differenziamo questo spazio da una pratica meditativa in quanto non ci diamo uno o più oggetti di pratica, ne dobbiamo sforzarci di dirigere la nostra attenzione su qualcosa di intenzionale e specifico. Si tratta di uno spazio più simile alla pratica Choiceless, ma anche da questa differente in quanto possiamo consentirci con più permissività la fluttuazione dei nostri pensieri e anche in quanto ci limiteremo ai soli 5 minuti prefissati. Diveniamo semplicemente il contenitore di ogni nostra esperienza accogliendo ciò che si presenta. Terminati i 5 minuti torniamo alla nostra vita e ai nostri impegni. Ripetiamo questo spazio di 5 minuti l’indomani possibilmente alla stessa ora di oggi.
Non abbiamo perduto nulla….
Presto ci accorgeremo che non abbiamo perduto nulla perché nulla c’è da perdere in quanto se pure la concentrazione si può affievolire la nostra personale forma di quiete è sempre a disposizione. Potremmo paragonare la mente quieta a un bell’oggetto, un soprammobile che ci piace tanto. Se trascuriamo di spolverarlo questo diverrà opaco e la sua forma apparirà più sbiadita e meno saliente, ma ciò non cambierà la sua natura ne la materia di cui è composto. Allo stesso modo la quiete di cui abbiamo fatto esperienza in altri momenti non va considerata come la polvere ma come la sostanza dell’oggetto. Sempre presente e disponibile ad essere contemplata.

Se in questo momento della nostra vita ci risulta troppo faticoso praticare non significa che la nostra natura sia cambiata ma solo che della polvere si sta depositando sulla nostra attenzione e capacità di concentrazione. Sarà bello appena lo vorremo, ripulire dalla polvere la nostra pratica; in questo può sostenerci il gruppo: da metà Febbraio Beatrice Toro ed io ne condurremo uno dedicato sia a principianti che a esperti. Sarà un po’ come ritrovare nel fondo di una soffitta un vecchio giocattolo di quando eravamo bambini per provare una gioia che credevamo aver dimenticato ma ancor più vivida forse poiché mai del tutto perduta.