Un’amplissima disamina degli “effetti sul benessere mentale e relazionale” della pandemia di Covid19 è stata al centro della 4a giornata: “La Chiesa italiana e la salute mentale”, organizzata dall’Ufficio per la Pastorale della salute della Cei diretto da don Massimo Angelelli.
Il vescovo Stefano Russo, segretario generale della Cei, ha osservato che “ci sembra di vivere in un film, tanto surreale ci appare la situazione, ma siamo ben consapevoli invece che siamo nel mondo reale. E dobbiamo starci dentro in modo attivo”.
Come sostiene Stefano Vicari, docente di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica e responsabile della Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza dell’Irccs Bambino Gesù di Roma, la pandemia sicuramente rappresenta una minaccia per la salute mentale dei bambini e degli adolescenti perchè è stata accompagnata a una serie di eventi, a cascata: ad es. chiusura delle scuole, contrazione delle occasioni di socializzazione e delle attività fisiche.
Tantissimi sono gli studi a conferma di tutto ciò che lasciano pensare sia molto importante dare ai ragazzi uno spazio di confronto con gli adulti. In questo senso la scuola in presenza riveste un ruolo insostituibile.
Sul tema della famiglia è intervenuta Maria Beatrice Toro, psicologa e psicoterapeuta, docente di Psicologia di comunità all’Auxilium, spiegando che: “Le trasformazioni sono state imponenti: dalla rarefazione dei rapporti tra nonni e nipoti, alle tensioni nel rapporto di coppia e tra genitori e figli.” Inoltre, crede che: “lo smart working non abbia conciliato famiglia e lavoro, perché la casa è il luogo del tempo libero, degli affetti, non è pensata per lavorare: spesso non ci sono gli spazi fisici per farlo. E c’è il rischio di ulteriore riduzione della natalità per la difficoltà a pensare al futuro”.
Inoltre, continua la Dott.ssa Toro: “E’ emersa una grande fatica (pandemic fatigue), una condizione mentale che viene provocata da uno stress continuativo.
Infatti, l’Oms ha riferito che il 60% della popolazione europea soffre di affaticamento da pandemia, che provoca ansia, agitazione, irritabilità, ma anche un annebbiamento cognitivo, colpendo maggiormente la fascia fra i 35 e i 55 anni, ovvero l’età di chi ha spesso il doppio compito di cura dei figli e dei genitori anziani.