Non giudizio: il primo pilastro della mindfulness

di Francesca De Luca

Come sostiene Jon Jabat-Zinn, fondatore della mindfulness, per coltivare la consapevolezza tramite la meditazione non bisogna soltanto apprendere in modo meccanico alcune tecniche, ma bisogna innanzitutto avvicinarsi ad essa con un atteggiamento di completa apertura, necessaria per sviluppare l’apprendimento e l’accettazione delle cose così come sono.

In nostro aiuto giungono i pilastri della mindfulness, ovvero degli atteggiamenti mentali che permettono a ciò che emerge di espandersi. Queste attitudini consapevoli si sviluppano meditando e ci sostengono in ogni momento.

Oggi parliamo di non giudizio, il primo dei 7 pilastri.

Questo atteggiamento lo ritroviamo già nella definizione di mindfulness di Kabat Zinn: “una consapevolezza che emerge attraverso uno speciale modo di orientare l’attenzione:
– intenzionalmente,
– al momento presente
– senza giudizio”.
Se ci soffermiamo proprio sul non giudicare ci accorgiamo immediatamente di quanto esso rappresenti qualcosa di molto lontano dal modo in cui approcciamo alle esperienze ma anche alle persone che abitano il nostro mondo.

La nostra mente valuta in continuazione quello che succede dentro e fuori di noi, e noi etichettiamo ogni esperienza tramite un giudizio in termini di piacevolezza/spiacevolezza. Siamo soliti dire: “mi piace non mi piace, è bello, è brutto, è neutro”. Non c’è nulla di sbagliato in questo processo: semplicemente la nostra mente funziona così.

E questo avviene secondo un principio di “economia cognitiva”: categorizzare oggetti, persone, cose, esperienze ci consente di risparmiare energia ma ci allontana dalla vera conoscenza di ciò che abbiamo di fronte. D’altra parte il cervello è una “macchina da sopravvivenza” più che un organo per la felicità”! Finiamo così per muoverci, passo dopo passo, solo ed esclusivamente secondo giudizi, pregiudizi e stereotipi.

I giudizi vengono a galla in modo immediato e inconsapevole innescando in noi delle reazioni del tutto automatiche che spesso, provenendo da pensieri negativi e fastidiosi, ci inseriscono nel circuito dello stress.

Questi pensieri giudicanti ci causano, spesso, dolore, ci impediscono di godere di ciò che c’è. Molti giudizi sono poi rivolti a noi stessi ed emergono anche in relazione alla pratica “non sono capace, non riesco a concentrarmi, non sono bravo….”.

Giudicare è certamente utile e indispensabile per sopravvivere e per potersi orientare nella vita, tuttavia ogni volta che lo facciamo limitiamo la visione della nostra esperienza.

Forse ci perdiamo qualcosa.

Durante la meditazione impariamo a riconoscere questa attività giudicante della mente, la osserviamo e ne diventiamo consapevoli.

Durante la pratica i giudizi emergeranno in modo automatico, non stiamo sbagliando nulla!  L’obiettivo è esserne consapevoli e capire che la nostra mente funziona in questo modo.

Non giudicare non significa non operare delle scelte, bensì discriminare ciò che è più adatto a noi e viverlo totalmente, senza bisogno di prestare attenzione al bisogno compulsivo della nostra mente di creare a tutti i costi un’etichetta.

Quando si pratica semplicemente osserviamo, senza giudizio. Sediamo come testimoni silenziosi il flusso che si svolge davanti ai nostri occhi, accogliendo con imparzialità, semplicità e benevolenza tutto ciò che si
presenta.

Osserviamo che il giudizio è un pensiero e la nostra mente produce continuamente pensieri.

Se osserviamo inizieremo a notare che il nostro pensiero è carico di giudizi, verso ciò o chi ci circonda ma anche
verso noi stessi.

Impariamo, con la pratica, a lasciar andare i giudizi, gli schemi mentali, i sistemi di credenze che vengono dal passato, che ci causano, troppo spesso, sofferenza.

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