Ridurre i pensieri negativi e concentrarsi sul presente

In epoca molto recente, un altro neuro scienziato, Chaime, ideò un interessante esperimento per far emergere quanto sia pervasiva la nostra tendenza a viaggiare avanti e indietro nel tempo. Egli si concentrò, in particolare, sull’identificazione del network neuronale preposto all’attività del ricordare il passato e del progettare il futuro. Due tra i suoi molteplici riscontri e risultati si rivelarono davvero suggestivi. Il primo è che, se si lascia un individuo libero di non far nulla, in capo a una manciata di minuti, dopo aver osservato un po’ l’ambiente circostante, se non ha particolari obiettivi o distrattori esterni (immagini, suoni, persone) o interni (dolori, fastidi, sensazioni insolite), comincia a vagare con la mente, nel passato o nel futuro, fantasticando scenari ipotetici in cui si perde come un vagabondo. La disposizione a viaggiare nel tempo è così radicata che si stabilisce in modo spontaneo come modalità preferita di funzionamento mentale.

“Modalità di default”

Chaime osservò che l’inattività conduce le persone a pensare a ciò che devono fare dopo che l’esperimento è finito, o a ripensare a qualcosa che è accaduto poco prima. Pertanto denominò il vagabondaggio mentale nel tempo “modalità di default”, dove per default si intende quello stato o risposta di un sistema qualunque in assenza (ovvero per mancanza, o, letteralmente, per difetto) di input diversi da quelli normalmente  predefiniti. Quando non facciamo nulla in particolare, dunque, entra in scena un teatro di voci, ricorsi, suggestioni, previsioni: non si tratta, solo, di una proiezione di noi stessi, ma nel teatro della coscienza, vengono coinvolte da vicino le persone per noi più significative. Nel momento in cui portiamo attenzione ai contenuti mentali di default non possiamo non notare, infatti, quanta parte dei nostri pensieri sia incentrata su persone in qualche modo presenti per noi, anche quando non sono fisicamente vicini.

Esercizio

Prendiamoci 5 minuti, adesso. Impegniamoci in un insolito conto alla rovescia che ci mostrerà come funziona la nostra mente quando “non facciamo nulla”. Questo esercizio può essere inserito come pratica quotidiana. L’obiettivo è dare flessibilità all’attenzione e coscientizzare l’attività di pensiero automatico.

  • Si  chiudono gli occhi e si fa partire il timer
  • Si porta l’attenzione al respiro e, finita la prima espirazione, parte il conto alla rovescia
  • Si comincia a contare da 10 a 0 e, ogni volta che sorge un pensiero, si ricomincia da 10

Molti di noi, nel fare l’esercizio, non riescono ad arrivare allo zero e il conto alla rovescia finisce per fermarsi sempre un po’ prima.

Quanti pensieri hanno attraversato la nostra mente in 5 minuti? Quanti erano pensieri positivi?

Alcuni di questi pensieri sono moto gradevoli e attraenti e ci attirano verso cose piacevoli. È difficile lasciarli lì e ricominciare il conto. Altri pensieri sono preoccupazioni per quello che ci accingiamo a fare. Anche questi sono attraenti:  ci attirano perché sappiamo che nella vita abbiamo tanti doveri e che, forse, non far nulla è un male, perché ci sono cose importanti che meritano la nostra attenzione, più del godere il momento presente. 

Magari siamo cresciuti circondati da adulti che ci raccomandavano di frequente di “pensarci bene” prima di parlare, o di prendere una decisione; Associamo tali attività all’esserci comportati bene; d’altronde è anche vero e innegabile, pensare è importante. Perdersi nei pensieri, però, può essere un problema altrettanto importante.

Il nostro film mentale, infatti, è spesso imperniato sul passato, sul futuro, su giudizi su se stessi e gli altri,  focalizzandosi, purtroppo, non tanto sulla gratitudine e il benessere che si provano quando si sta bene, ma, piuttosto, si incentra sugli aspetti negativi del vivere.

Tulving, d’altronde, ebbe a scrivere che l’utilità del ricordo è “aver imparato una lezione”, sottintendendo quanto sia importante per noi non commettere errori che ci danneggino seriamente.

Tendiamo a soffermarci maggiormente sulle paure, sapendo che basta un solo evento veramente negativo per distruggere tutto ciò che abbiamo faticosamente costruito.

Siamo in qualche modo naturalmente più inclini a ricordare i momenti negativi, per mettere in atto una serie di rimedi e fare tutto ciò che possiamo per evitare che circostanze simili si ripetano. Si inizia così, ad individuare uno dei costi che la mente errante ci fa pagare, spesso non a buon mercato. Ovvero la tendenza a stare molto tempo in contatto con pensieri negativi, che sostengono stati d’animo inquieti. L’abitudine a perdersi nei pensieri, e il conseguente inconsapevole attaccamento agli scenari che la mente via via ci propone, possono condurre, a lungo andare,verso una situazione di disconnessione interiore.

La mindfulness è, dunque, un processo in qualche misura contro corrente, in quanto va in direzione opposta rispetto all’atteggiamento di default, quell’essere sempre all’opera per modificare le cose che non vanno, attendendo il momento in cui, dopo aver raggiunto alcuni obiettivi fondamentali, si potrà finalmente incominciare a vivere.

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