Quando parliamo di autostima parliamo di un processo soggettivo grazie al quale possiamo dare una valutazione e un certo grado di apprezzamento di noi stessi
di Daria Venturini
Attraverso l’auto percezione del nostro valore e delle nostre capacità ci approviamo o meno, ci giudichiamo positivamente o meno.
E’ cosa ormai nota che avere una buona autostima è una risorsa
preziosa e un fattore protettivo e avere una scarsa o pessima autostima può contribuire ad avere una scarsa motivazione e un umore basso. D’altra parte, può essere interessante fare una riflessione aperta su questa skill così preziosa.
Comportarsi in maniera tale da avere come obiettivo un sempre crescente aumento dell’autostima può portare ad essere molto autocentrati e a ingaggiare una continua sfida con se stessi e con gli altri per essere sempre meglio, alzare la media, salire in classifica.
Questo può far nascere atteggiamenti narcisisti e egocentrici e far emergere rabbia e frustrazione quando la valutazione e il giudizio che diamo a noi stessi non è all’altezza delle aspettative. Inoltre il livello di autostima ,può fluttuare in base alle esperienze e alle circostanze contingenti alzandosi con i successi e abbassandosi con le sconfitte.
Differentemente la self-compassion non è basata sull’autovalutazione. La compassione verso di sé non è mossa dalla presenza di caratteristiche positive, dal raggiungimento di obiettivi o dall’acquisizione di competenze: non emerge in seguito ad una valutazione.
Grazie all’auto compassione sarà possibile avere cura di sé e della propria umana natura che giova del sentirsi al sicuro, del sentirsi accudita da se stessa e del poter essere defusa, consapevole e accettante nei confronti della sua imprescindibile sofferenza. La gara attiva con sé e con l’altro per essere e fare meglio non è condizione necessaria per stare bene con se stessi. La self-compassion non dipende dalle circostanze esterne e dagli esiti delle performances: è sempre a disposizione soprattutto quando sentiamo di aver sbagliato.
Gli sbagli possono essere accolti come ospiti nel cammino della vita, da notare e riconoscere per imparare qualche cosa sull’oggi e per il domani ma da accogliere con gentilezza come parti del tutto.
Recenti studi clinici dimostrano che, rispetto all’autostima, la self-compassion si associa ad un concetto di sé più accurato, ad una maggior cura delle relazioni e a minori livelli di narcisismo e di rabbia reattiva.
Poter aumentare la propria autostima e allo stesso tempo coltivare e allenare l’autocompassione può essere un’intenzione di bene che permette una gestione degli accadimenti dentro e fuori di sé più equilibrata, chiara e realistica.
Uno studio del 2018 (N. Petrocchi, F. Dentale, P. Gilbert) si è proposto di indagare la differenza tra autostima e auto-rassicurazione – caratteristica che si sviluppa grazie alle pratiche di self-compassione – L’auto-rassicurazione ci supporterà nei momenti di difficoltà e di sofferenza della vita come fa un genitore con un figlio.
Lo studio esamina l’ipotesi che l’auto-rassicurazione possa servire da cuscinetto tra l’autocritica e la sintomatologia depressiva in una maniera in cui l’autostima, che è radicata in differenti sistemi motivazionali, non fa.
Si ipotizza che l’autocritica potrebbe essere correlata con alti livelli di sintomatologia depressiva, ma che questa associazione potrebbe indebolirsi con alti livelli di abilità di auto-rassicurazione.
Si ipotizza inoltre che l’autostima potrebbe non fungere da mitigatore nella relazione tra autocritica e sintomi depressivi.
I risultati dello studio mostrano che a più alti livelli di auto-rassicurazione la relazione tra autocritica e sintomi depressivi diventa non significativa, supportando l’ipotesi della funzione mitigante dell’auto-rassicurazione. Nonostante l’alta correlazione tra autostima e auto-rassicurazione, l’autostima non sembra moderare significativamente la relazione tra autocritica e sintomatologia depressiva.
Questo risultato supporta la crescente evidenza che non tutti i processi positivi relativi al sé esercitano la stessa funzione protettiva contro le conseguenze psicologiche dell’autocritica: l’abilità di sapersi auto rassicurare sembra proteggere contro la psicopatologia correlata con l’ipercriticismo.