Capire gli altri, capire se stessi: ecco come
di Maria Beatrice Toro
Lo stereotipo culturale che in Occidente ancor oggi spesso si associa alla figura del meditante è caratterizzato da una serie di attributi non del tutto corretti, quali una decisa attitudine alla solitudine, un certo distacco dalle cose, una notevole tolleranza verso gli altri.
Nel contesto Mindfulness, per esempio, l’aspetto interpersonale è molto enfatizzato e vi sono intere sessioni, nei vari protocolli, dedicate al praticare insieme. La finalità di tali sessioni è l’apprendimento di modalità equilibrate di stabilire e mantenere le relazioni. Si apprende a gestire in modo sano sia il contatto che – soprattutto – il confine tra se e l’altro, per evitare le secche della tolleranza passiva e della prepotenza, cui tutti possiamo andare incontro.
A dispetto della diffusione più che trentennale della mindfulness, non è affatto facile smontare l’equivoco per cui meditare faccia guadagnare lucidità, equilibrio e benessere a discapito dell’integrazione interpersonale.
L’ottenimento di qualità come calma, un certo “sangue freddo” e una certa impermeabilità agli stress rappresentano la motivazione iniziale di tanti motivanti, nonchè causa di delusione.
La prima cosa che mi è arrivata dritto al cuore quando ho cominciato a meditare con le indicazioni mindfulness è stata la percezione che all’asciutto “concentrarsi” sul presente, dovessi coniugare una modalità esperienziale di accoglienza.
Il fondamento della pratica di consapevolezza, in fondo, non è che il semplice sedersi in silenzio, confinando nella propria capacità di esercitare il non giudizio verso la propria esperienza.
Il non giudizio, nelle relazioni, diventa ascolto profondo, assertività, rispetto per l’altro anche quando siamo coinvolti in un momento di frizione.
E’ quello che chiamiamo il momento delle “comunicazioni difficili”, ovvero sfidanti e potenzialmente sfibranti ma che, come tutte le difficoltà, possono diventare occasioni di crescita.
Riconoscere una comunicazione difficile
Senza complicarci troppo la vita con definizioni tecniche, direi che basta guardare, anzitutto, alle emozioni coinvolte.
C’erano rabbia, paura, agitazione quando parlavamo? Dopo lo scambio c’erano frustrazione, rancore, colpa?
Poi guardiamo a ciò che abbiamo comunicato e alle sue conseguenze.
Siamo restati polemicamente in silenzio? Abbiamo sopportato senza reagire? Siamo fuggiti, abbiamo aggredito? Che idea di è fatto l’altro di noi? Siamo riusciti a cambiare le cose che non ci piacevano?
E, in ultimo, vediamo se questo tipo di situazioni tende a ripetersi. Spesso, infatti, gli schemi si ripetono e ci incastrano in percorsi sempre uguali.
La tecnica LADDER
per sviluppare assertività a diversi livelli verbali e non verbali
L – Look (Guarda) Prima di comunicare prendi un tempo per osservare come stai, i tuoi bisogni
A – Arrange (Organizza) Trova un tempo e un luogo comodo per incontrare la persona o le persone con cui vuoi chiarirti
D – Definire (Definisci) Esponi con chiarezza quello che senti e pensi formulando le frasi sinceramente in prima persona. Non usare il “noi”, è un modo che spesso nasconde un atteggiamento manipolatorio anche se non ne sei cosciente.
E – Express (Esprimi) Sii chiara, o chiaro, non girarci intorno e non giustificarti. Esprimi il tuo sentire, non portare una maschera.
R – Reinforce (Rafforza) Valuta come sia andata la comunicazione e prendine nota scritta, soffermandoti sugli aspetti positivi.