Un articolo di Maria Beatrice Toro
in uscita sul periodico mensile YOGA JOURNAL
(mese di Febbraio)
Immaginate di essere all’uscita di una scuola dove ci sono tanti bambini che ridono e scherzano insieme e, poco distante, un piccolo scolaro con il capo chino e le spalle ricurve che non riesce proprio a partecipare all’atmosfera di gioia e vitalità creata dai suoi coetanei. Appena vede la madre corre verso di lei con le braccia allargate mentre scoppia a piangere senza freni. Anche adesso i compagni continuano a ridacchiare e fare commenti pesanti su di lui.
Come vi fa sentire guardare questa scena immaginaria?
Probabilmente proverete una certa tristezza ed è normale: si tratta dell’effetto dell’empatia, quella capacità innata che abbiamo di metterci nei panni degli altri, specialmente quando si trovano in difficoltà.
Facciamo adesso un altro passaggio e immaginiamo di essere la madre. Probabilmente, oltre al dispiacere, sentiremmo un forte desiderio di aiutare il bambino. Questa non è più solo empatia: è compassione.
Secondo Paul Gilbert, uno dei più importanti autori contemporanei in tema di Mindfulness e compassione, essa deriva dal sistema motivazionale dell’accudimento, l’istinto che abbiamo di prenderci cura di chi soffre.
Nello stato mentale della compassione non è la sofferenza a prevalere ma la voglia di aiutare, accompagnata da sensazioni positive di amorevolezza e gentilezza disinteressata.
Dalla compassione prendono le mosse molti comportamenti prosociali: le cosiddette azioni compassionevoli. 
E se fossimo noi quel bambino? Saremmo in grado di dare a noi stessi la benevolenza di cui abbiamo tutti un disperato bisogno?
Rispondere alla domanda non è affatto banale perchè non tutti siamo in grado di sostenerci nel momento dell’errore, lasciamo troppo spesso il passo alla voce dell’autocritica.
A tal proposito oggi la psicologia e la scienza della mindfulness propongono di crescere nello sviluppo di un sè più compassionevole: per aiutare la compassione con gli altri, per dare sostegno a voi stessi nei momenti difficili e anche per superare eventuali blocchi nel ricevere conforto dall’esterno.
Sono tre i flussi della compassione: da sè agli altri, da sè a sè, dagli altri a sè ed è importante sostenerli tutti e tre, perchè le persone più compassionevoli sono, solitamente, anche più consapevoli, equilibrate e felici.
Non abbiamo paura a crescere nella compassione di voi stessi, per sostenervi come sosterreste un amico a cui volete bene. Quando coltiviamo uno stato mentale auto compassionevole, infatti, favoriamo l’accesso alle nostre risorse di benessere e creatività.
PRATICA PER ALLENARE L’AUTO-COMPASSIONE
Quando ti accorgi di aver fatto un errore prova a respirare profondamente e accennare un sorriso.
Inspira e senti il viso, notando la presenza di eventuali tensioni.
Espira e rilassa la zona tra le sopracciglia e la mandibola. Inspirando, accenna un sorriso. Senti l’effetto sul cuore.
Ora puoi dire a te stessa o te stesso: “Questo è semplicemente umano”, “Mi dò il permesso di sbagliare”, “Fa parte della vita”. Ed anche. “Possa io essere in grado di prendermi cura di me”, “Possa io accogliere i miei difetti”, “Possa io perdonare me stesso per i miei errori”.
Sono frasi potenti: ripeterle a se stessi in meditazione, facendo profondi respiri, fa miracoli.