Consapevolezza e… felicità!

C’è un legame tra piena presenza e felicità? Tra consapevolezza e questo stato mentale così desiderato chiamato felicità? E’ sicuramente vero che diversi fattori esterni di tipo sociale, affettivo, economico o lavorativo possono influenzare il nostro stato d’animo ma è altrettanto vero che alcune persone tendono a essere più felici di altre come se l’attitudine a tale stato mentale possa essere inteso come un fattore di personalità. Ci si può chiedere allora se una cosiddetta mente errante sia una mente più infelice di una mente che sa essere pienamente presente.

pexels-photo-944782.jpegSe lo sono chiesto anche         Mathew Killingsworth e Daniel Gilbert due studiosi che hanno pubblicato su Science la loro ricerca in merito. I due studiosi partendo dall’assunto che “molte tradizioni filosofiche e religiose insegnano che la felicità si trova vivendo in questo momento (…); suggeriscono che una mente errante è una mente infelice” si chiedono dunque se abbiano ragione. Il disegno di ricerca prevedeva l’invio di una serie di domande sullo stato d’animo dei 2000 partecipanti mediante un applicazione, come ad esempio: “Come ti senti adesso?”, “Cosa stai facendo in questo momento'” e “Stai pensando a qualcosa di diverso rispetto a ciò che stai facendo adesso?” chiedendo di riportare se l’esperienza immaginata fosse piacevole, neutra o spiacevole. Un risultato interessante è stato che la mente dei partecipanti vagava per più di metà del tempo, quando vagava si focalizzava su pensieri negativi e gli stati d’animo di queste persone risultavano essere più inquieti e infelici. E così in linea con gli studi precedenti, e con la tradizione, una mente errante sembrerebbe essere una mente più infelice.

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Nei sogni ad occhi aperti e nel mondo onirico notturno spesso lo scenario immaginato e sognato non è piacevole e e gli stati d’animo in queste esperienze immaginative spaziano spesso nella gamma del polo negativo. Anche le storie di finzione della narrativa come del cinema che riscuotono più successo corrispondono a esperienze infelici, spaventose, o drammatiche: pensiamo ai generi horror, thriller o drammatico. Come mai scegliamo di intrattenerci con storie spaventose o che ci fanno soffrire e piangere? E come mai lo facevano già gli antichi greci e romani mettendo in scena le tragedie? Il motivo – ci suggerisce la Prof.ssa Maria Beatrice Toro nel suo libro Crescere con la Mindfulness – risiede nel fatto che impariamo di più dalle esperienze negative, dalla sofferenze piuttosto che dalla gioia e questo dà un senso all’esperienza dolorosa che deve essere attraversata con comprensione profonda. Ma perché dobbiamo spendere il tempo a pensare e immaginare cose spiacevoli anche quando non ci stanno accadendo? Forse ci prepariamo al possibile reale usando scenari virtuali…

La felicità però ha di bello che non si può possedere, organizzare, programmare e ottenere. La felicità si può accogliere, sentirne il sapore, gustarla, e viverla pienamente ponendosi verso la vita in un modo accogliente, coltivando la pace nel cuore e nella mente, uscendo soprattutto dal loop del programmare e del fare per camminare sul sentiero dell’essere, del momento presente, della gratitudine e dell’amare.

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