L’avversione occupa molto dello spazio mentale di ciascuno: è un ospite rumoroso, ma sa esser presente anche in modi sottili: insoddisfazioni, fastidi, malumori, momenti di nervosismo che emergono a contatto con noi stessi e, soprattutto, con l’altro.
La mindfulness interpersonale è una pratica di esplorazione che porta a galla anche “le piccole avversioni” di tutti i giorni, che portando sofferenza e infelicità. L’avversione, infatti, genera stati negativi di disonnessione da noi stessi e dagli altri. La prima cosa con cui si prende contatto con attitudine di attenzione sollecita è che l’avversione non nasce da fuori, ma da dentro.
Per quanto siamo portati a credere che il fastidio nasca da un’altra persona, che magari ci irrita o procura impazienza, questo è un modo ingenuo di concepire il pervasivo fenomeno avversivo. Se nascesse dal di fuori, non ci sarebbe modo di lavorarci attraverso la consapevolezza; proviamo, al contrario, a pensare che abbiamo bisogno di qualcuno per poter esercitare un’impazienza, un nervosismo, una tensione che era già dentro di noi e non chiedeva altro che un’occasione per emergere. Ed è proprio grazie a quell’occasione che possiamo praticare la mindfulness, per conoscere noi stessi attraverso l’altro.
Magari scopriremo che nella rabbia cerchiamo una sensazione di sicurezza, come chi ha trovato nell’aggressione un riparo dalla possibilità di venire schiacciato. Oppure sapremo che nella nostra rabbia ci sono invidia e frustrazione. Scrive Corrado Pensa: “Un importante insight che può accompagnare questo lavoro d’apertura all’avversione è il rendersi conto del fatto che, per molto tempo, noi abbiamo letteralmente ‘dato il cuore’ alle nostre avversioni“.
La mindfulness interpersonale ci aiuta nel cammino verso questo genere di insight, a toccare con mano da vicino quanto del nostro cuore abbiamo dato all’avversione, e provare a riportarlo indietro da una strada che è diventata obsoleta o dannosa, privandoci della pace e del senso di connessione.